Letteratura
BOOK PILLS #1: Federico Guglielmi, “PUNK” (Giunti, pp.264).
Credo d’aver
perso il conto dei libri letti sul tema, forse un centinaio, o forse più. Fatto
sta che solo quattro o cinque si sono salvati dal rogo. Tra i quali questo di Federico
Guglielmi. Che è bravo, bravissimo. Talmente bravo bravissimo da risultare
talvolta antipatico. L’opera di ricostruzione, puntuale e dettagliatissima, di
una discografia caotica come quella “punk”, spesso oscura, vasta, frammentata,
fatta di gruppuscoli nati e morti nell’arco di una settimana, e che sfuma spesso
ai confini con altri generi, merita un plauso spellamani.
La parte
testuale, per quanto talora vagamente soporifera, è scritta in quell’italiano
impeccabile che se da un lato si lascia leggere con sommo piacere, non fa che
aumentare, dall’altro, le nostre benigne antipatie verso il Guglielmi.
Chiamatela invidia, se vi piace.
Chi voglia
sapere che cosa il punk abbia rappresentato a livello discografico non può
prescindere da questo testo che per forza di cose e (perché no?) un po’
ruffianamente si presenta appetitoso anche sotto il profilo estetico, col
solito Johnny Rotten dallo sguardo psicotico che ci guarda beffardo dalla
copertina.
Beninteso,
nulla a che vedere con il leggendario e inarrivabile England’s Dreaming di Jon Savage, anche perché, questa di
Guglielmi, è opera che ha intenti ben diversi da quella. Credo tuttavia di
poter dire, senza tema di smentita, che le due opere possono considerarsi complementari.
Per i feticisti (del) punk come il sottoscritto, il volume di Guglielmi,
redatto con certosina passione, soddisfa appieno qualsiasi tipo di esigenza
storica e archeologica. Insomma, c’è della ciccia anche qui, tanta e buona e
saporita.
Il che
sorprende, non tanto per Guglielmi che è penna raffinatissima e forse il
massimo esperto di punk in Italia; sorprende se consideriamo che questo è un
prodotto dell’editoria italiana, quella che investe fior di quattrini per promuovere
e pubblicare il ripugnante ciarpame dei Moccia e dei Fabio Volo; che non
trattano di musica, lo so benissimo, ma sono il perfetto esempio di ciò che l’italiano
medio ama leggere. Quello stesso italiano medio che, presosi la briga, grazie a
un’improbabile quanto fugace illuminazione, di leggere il volume di Guglielmi,
rimarrà sbalordito non dalla competenza e dalla bravura dell’autore, ma dall’assenza,
nella trattazione, di Blink 128, Green Day e Prozac +.
E poserà il
volume, sempre più convinto dell’incompetenza dei giornalisti italiani in fatto
di musica. Continuerà a leggere Fabio Volo e ad ascoltare “American Idiot,”,
senza capire che se lo merita. Di leggere Volo, intendo.
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